Vorrei dare il mio contributo d’idee in un confronto aperto e trasparente nel dibattito che si è riaperto sui nuovi confini, sulla necessità di dar vita a nuove identità territoriali. Sottolineo aperto e trasparente perché mi auguro che i tatticismi, le manovre, le furbizie dell’ultima ora e di qualche tempo fa, possano trovare il loro posto nell’archivio degli errori politici. Mi auguro dunque che dietro formule come Grande Trapani, Grande Erice e quant’altro, vi sia una reale volontà di affrontare il problema per quel che è e non per strumentalizzarlo. E neanche per alzare inutili e sterili muri difensivi che rimandano a rendite di posizione e soprattutto ad abiti culturali ormai retrò. Affidiamo al merito della questione la nuova agenda su cui scrivere le priorità dei nostri territori. Provo a fare la mia parte. Con una premessa: ritengo che la discussione in atto, con gli strumenti che vengono indicati – fusione e rettifica – sia un errore di metodo e di sostanza. In quanto questione semmai complementare da considerare alla fine di un percorso che deve necessariamente seguire altre priorità. Ci troviamo ad affrontare una fase drammatica della nostra storia. La pandemia ha sconvolto le nostre vite, messo a dura prova il nostro già debole sistema produttivo e rischia di intaccare seriamente il nostro futuro. Non possiamo non tenerne conto. Ed in quest’ottica le dinamiche internazionali, mondiali e nazionali ci dicono chiaramente che la prossima ripartizione di risorse sarà basata sulla programmazione di ampio respiro strategico e sulla capacità di essere territorio, area di riferimento, connubio di città omogeneo ma ampio. Proprio per rispondere alla richiesta di ridurre i costi, di razionalizzare le spese, di costruire economie di scala. In tutti i settori. In tutti i comparti economici e sociali. Avremmo dovuto registrare e sottolineare – cosa che invece non abbiamo finora fatto – una svolta altamente significativa che ci riguarda direttamente. Il recente documento delle ANCI del Sud, inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Draghi ed alle Ministre Carfagna e Gelmini, indica la vera sfida che dobbiamo vincere e che finisce per svuotare il nostro dibattito nostrano sulle linee da tracciare per definire nuovi confini. Le ANCI del Sud hanno chiesto che le risorse europee dovranno essere utilizzate per superare una volta per tutte la Questione Meridionale, che è la questione Italia. E quel che è ancora più interessante, hanno paragonato la soluzione della Questione Meridionale all’unificazione delle due Germanie del 1989. Le ANCI del Sud hanno compreso qual è il livello del confronto che ci attende. I 24 Comuni del trapanese, fanno parte dell’ANCI Sicilia che ha anche parlato anche per di tutti noi. Un evento che, per mio conto, è da considerare “rivoluzionario”, perché pone con forza e determinazione il vero nodo da sciogliere: quello di fare sistema, di avere un progetto unitario che possa, nello stesso tempo, soddisfare le diverse esigenze territoriali, che non possono però essere legate ad elementi di campanilismo o di anacronistici tentativi malcelati di annessione. Per essere più chiara. La ripartizione delle risorse sarà ad un livello sempre più alto, che richiederà anche capacità progettuali e di sintesi sempre più complesse che imporranno pianificazioni di aree per attrezzare sistemi territoriali convincenti in grado di determinare una crescita economica e sociale complessiva. La logica che sta seguendo il nostro dibattito nostrano verrà schiacciata da un confronto di ben altro tenore. C’è qualcuno che, con onestà intellettuale, può affermare che per partecipare ad un confronto del genere sia sufficiente un Comune che può contare su qualche migliaia di abitanti in più perché ha definito la cosiddetta fusione? O nella ipotesi minimale, definito con una rettifica di confini? Ci rendiamo conto che la preoccupazione delle ANCI del Sud, che forse è meglio indicare una per una: Sicilia, Abruzzo, Basilicata Calabria, Campania, Puglia, Molise e Sardegna, sta nel fatto che l’architettura tecnico-giuridica e la volontà politica della ripartizione delle risorse venga fortemente centralizzata e definita secondo parametri che potrebbero non avere un collegamento diretto con intere macro aree regionali. Di fronte a questo scenario la nostra risposta non può certo essere quella che ho intravisto nel dibattito sui nuovi confini. Siamo chiamati, oserei dire costretti, ad alzare l’asticella del confronto. Un primo passo significativo passa, a mio dire, dalla capacità che riusciremo ad avere per fare un salto culturale. Finora abbiamo parlato – imbattendoci nella necessità di razionalizzare costi, di potenziare benefici per le nostre comunità – di Area Vasta. Ecco il salto culturale. Dobbiamo avere la forza ed il coraggio non più di parlare ma di pensare da rappresentanti di un territorio, di un’Area Vasta. Il progetto dei Liberi Consorzi dei Comuni è stato ed è rimasto nel limbo. Ma ci sono degli elementi che potrebbero essere valorizzati, plasmati, utilizzati al meglio. Faccio riferimento all’Assemblea dei Sindaci da prendere in considerazione come una cabina di regia, come uno strumento operativo per presentarsi e per proporsi come territorio, come espressione di un’Area Vasta che ha un progetto unitario e condiviso. Una cabina di regia in grado di fare sintesi tra le sue professionalità e competenze. Perché il problema non è soltanto quello – sempre più impegnativo – di ottenere le risorse, ma anche l’altro non meno importante di saper programmare per essere competitivi. Sfide di questa portata pensiamo di poterle risolvere con slogan facili e con ipotetiche nuove città che comunque sarebbero marginali in un sistema che è legato a doppio filo alla logica del pensiero globale, anche negli aspetti più locali. Del resto colgo anche una contraddizione. Non comprendo perché in determinati settori seguiamo le regole dell’Area Vasta, faccio l’esempio del Distretto Turistico, dell’unione dei Comuni, dei tentativi in atto di allargare i servizi di alcune società partecipate, e quando c’è poi da mettere tutto a sistema recuperiamo il concetto di confine, più o meno utile. È invece necessario andare oltre i confini. Non abbiamo molto tempo per prenderne atto e cercare di tirare il filo giusto della matassa. Mi chiedo, per concludere, come pensiamo di poter partecipare al confronto sulla ripartizione delle risorse europee senza una idea progettuale sistemica. Come questo territorio intende misurarsi con le scelte di governo facendo arrivare la propria voce. Mi chiedo se facendo parte dell’ANCI Sicilia intendiamo dare il nostro contributo allo sforzo che stanno portando avanti le ANCI del Sud. Mi auguro che presto, si possa aprire un dibattito, avere un confronto serio e costruttivo in grado di coinvolgere tutte le rappresentanze sociali, sindacali, del mondo produttivo e delle professioni che vada oltre le proposte ormai datate che, se concretizzate, lascerebbero tutto com’è, lascerebbero i nostri territori provati, fragili e senza una strategia. E quindi, senza un pezzo di futuro, soprattutto, per le nuove generazioni.
Erice, 15 Marzo 2021
Daniela Toscano Pecorella
Sindaca di Erice