Per affrontare il dopo Coronavirus, come in molte altre realtà locali, l’economia trapanese deve
sicuramente rimodulare le strategie nel settore turistico, ancor più provando a fare sistema con la filiera
agroalimentare ed il sistema culturale d’aria territoriale ottimale.
Invero, prendendo spunto dalla felice esperienza alla candidatura di Trapani a Capitale Italiana della
Cultura, l’ottima guida del Distretto saprà, unitamente al territorio provinciale coinvolto, trovare le giuste
proposte così come, al pari, sarà utile e conducente la sinergia positivamente avviata con l’Assessorato allo
Sviluppo Economico sapientemente guidato dall’Assessore Avv. Andreana Patti.
Per ciò che riguarda l’agricoltura nella provincia di Trapani, oltre che sulla olivicoltura, la stessa si
basa principalmente su due coltivazioni predominanti: la viticoltura da vino e la cerealicoltura con il grano
duro; coltivazioni che, se difese dalle leggi comunitarie, nazionali e regionali possono dare risposte alla
Viticoltura:
La provincia di Trapani è stata considerata nel passato la più vitata d’Italia e d’Europa.
La Sicilia nel 2009 vantava 124.924 ettari di superficie vitata da vino e la provincia di Trapani ne
contava 67.000 ettari circa il 54%. Qualche decennio prima gli ettari vitati erano circa 160.000.
Adesso gli ettari sono 103.000 a livello regionale e la provincia di Trapani ha ancora oltre 50.000
ettari di superficie vitata.
Il punto di forza principe della vitivinicoltura siciliana è il clima asciutto che permette di produrre
con pochi trattamenti chimici le produzioni convenzionali.
Il biologico è praticato ed è facile rispettare l’assoggettamento. La sperimentazione ha portato alla
qualificazione di vitigni autoctoni: Nero D’Avola, Inzolia, Catarratto, Grillo e di alloctoni.
Il sistema di allevamento maggiormente utilizzato, con la diffusione della meccanizzazione della
raccolta, è quello della controspalliera.
In Sicilia, così come nel meridione, nel corso degli ultimi 15 anni imprese dotate di un intenso
dinamismo sono emerse sui mercati nazionali e internazionali con produzioni di pregio, proiettando la
vitivinicoltura meridionale verso uno scenario competitivo.
L’Italia è membro dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigne e del Vino) e il Ministero
dell’agricoltura partecipa ai lavori di questo organismo intergovernativo a carattere scientifico e tecnico
avente una competenza riconosciuta nel settore della vigna e del vino. l’OIV si occupa di viticoltura
sostenibile, di aspetti ambientali, sociali, economici e culturali.
La Sicilia e la provincia di Trapani ripongono molte aspettative dalla valorizzazione delle
produzioni ecosostenibili.
Cerealicoltura – grano duro
In Italia si importano oltre due milioni di tonnellate di grano duro dall’estero per soddisfare le
esigenze soprattutto dei pastifici italiani che producono pasta per il mondo intero.
I pastai italiani rispettando le leggi vigenti considerano il parametro delle proteine al 14% unico
parametro di qualità, tralasciando la eventuale presenza di glifosato (diserbante, utilizzato nei paesi nostri
fornitori per fare seccare il grano) o di micotossine cancerogene ( prodotti dalle muffe che si sviluppano nei
paesi a clima umido) .
Per la maggior parte dei Paesi del mondo, che esportano anche in Italia milioni di tonnellate di grano
duro,i valori massimi del DON nei cereali sono compresi fra i 750 e 1000 parti per miliardo, mentre in
Europa e quindi in Italia, il limite è fissato a 1750 dal regolamento CEE n. 1881/2006.
Paesi come il Canada hanno per il consumo interno il limite di 1000 parti per miliardo di
micotossine consentite nelle granelle. L’altra parte del grano prodotto che non possono utilizzare per
alimento, e che rientra entro il limite di 1750, viene venduto a prezzi stracciati anche in Europa ed in Italia.
Nel sud Italia, soprattutto in Sicilia ma anche in Puglia, tutto il grano duro prodotto è privo di
micotossine cancerogene. Il sole rende il grano duro italiano prodotto dalla Basilicata e fino in Sicilia al
momento del raccolto perfettamente maturo, asciutto, quindi non in condizioni di sviluppare micotossine
nocive all’alimentazione umana. Questa anomalia determinata dalla non competitività del prezzo rispetto a
quello praticato da altri Paesi ha comportato l’abbandono di 600 mila ettari di superfici seminativa alla
coltivazione di grano duro.
Se nel futuro si privilegia la salute dell’uomo, allora, rivedendo il regolamento comunitario
1881/2006, si può dare dignità al lavoro dell’uomo a livello economico riconoscendo il giusto prezzo alle
produzioni di qualità.
comunicato stampa: